Simbolismo Sacro e Trasformazione Iconografica
di un simbolo iconografico adatto che possa aiutare la mente a concentrarsi, la visualizzazione a focalizzarsi sulla virtù da acquisire o la forza da risvegliare. In tale ambito ci si può domandare quale siano le linee guida per la formazione o l'identificazione di un simbolo. Una legge di carattere generale in questo senso è che il rapporto con il simbolo è tanto più stretto quanto più la rappresentazione identifica univocamente la realtà rappresentata nei confronti di tutte le altre realtà esistenti. Ad esempio la rappresentazione grafica di un simbolo è significativa in linea di principio come la sua realizzazione fisica materiale oppure quanto una sua fotografia. Allo stesso modo la scrittura e lettura di un nome può aiutare a specificare, precisare o aumentare questo rapporto, specialmente se è scritto in una lingua sacra, come l'ebraico o il sanscrito devanagarico, in quanto le lettere di queste lingue sono state concepite per essere il più possibile versatili e funzionali nell'indicare concetti metafisici. Non a caso sono dette «lingue sacre». Una figura geometrica come una stella a cinque punte, normalmente indicativa dell'uomo, può assumere un significato particolare se viene specificata dalla presenza di un nome divino o angelico, allo stesso modo una rappresentazione iconografica può spesso presentare il nome del santo rappresentato per identificare e rafforzare il rapporto psichico fra simbolo e realtà spirituale rappresentata. Più il simbolo identifica univocamente la forza rappresentata più il rapporto è forte. Un classico esempio è rappresentato dall'iconografia con la sua ascesi pittorica e iconografica. Nell'iconografia tradizionale la rappresentazione di un evento della vita del Cristo o della Vergine non aveva un puro fattore illustrativo, teologico o cultuale, essa rappresentava anche una vera e propria ascesi, un modo cioè di agire e trasformare la propria coscienza e subcoscienza mediante lo strumento della pittura, della respirazione e della meditazione concentrata sui colori e sulle virtù archetipiche da essi rappresentate. In questo caso l'iconografo, nel ritiro più assoluto, dopo giorni di preghiere e meditazioni, operava sì sulla tavola di alabastro stendendo il colore ma contemporaneamente questo si impregnava nella sua anima e con esso la virtù cristica ad esso corrispondente ad un livello tale da modificarla profondamente. In questo caso il Bianco corrispondeva all'acquisizione della Purezza e dell'intima Unità della Trinità; l'Oro era il veicolo della Presenza Divina; il Giallo la Rivelazione; il Rosso l'Amore di Dio quale Spirito Santo; il Blu era il simbolo della Sapienza Divina e il Verde della Rigenerazione e della sfera della Creazione. Per aumentare l'azione del simbolo, rafforzare la risonanza e facilitare l'incisione di queste virtù nella propria anima gli iconografi erano soliti operare dopo numerose consacrazioni e dopo un lungo periodo di ritiro di isolamento dal mondo per evitare ogni forma di disturbo o contagio psichico, infine usavano, per stemperare il colore, anche gocce del loro siero in modo da rafforzare il rapporto simbolico-psichico fra la tavola e la loro anima. La rappresentazione di un evento della vita evangelica del Cristo si traduceva così nella realizzazione della corrispondente esperienza spirituale e la trasmutazione del legno della tavola in luogo teofanico corrispondeva alla sublimazione dell'anima dell'artista in un tempio adatto a ricevere la presenza del Cristo-Luce. L'UOMO, L'UNIVERSO E DIO. La sfinge guarda l'uomo e gli sorride, chissà quale mistero nasconde. Con il suo enigmatico sorriso guarda l'Uomo e gli domanda: «Chi sei? Da Dove vieni? Dove vai?». La sfinge è un simbolo. Un simbolo creato dall'uomo stesso per ricordarsi di uno stato di coscienza. Un simbolo formato dall'uomo per non dimenticare se stesso, il proprio passato, un simbolo che nei secoli gli ricorda periodicamente la necessità di risvegliarsi alla realtà spirituale che gli appartiene. La sfinge, con il suo fisso guardare e vegliare verso Oriente, è il simbolo dell'Uomo stesso, ma dell'Uomo quando esso era il simbolo di Dio, creato a «immagine e somiglianza». Esso è il simbolo di quello stato di coscienza in cui le quattro Potenze di Dio vivevano nelle quattro potenze dell'Uomo Universale rappresentate dai quattro animali sacri e di quando l'Uomo era uno con Dio e aveva la coscienza di un «dio» in Dio. Fra tutti i simboli esistenti infatti il più importante è l'Uomo. L'Uomo è il simbolo dell'Universo e l'Universo è il simbolo di Dio. L'Uomo perfetto è infatti il Tempio di Dio, il luogo in cui sorge la Presenza di Dio. Questo il mistero della sfinge, questo il mistero dell'Uomo. Il mistero dell'Uomo risiede nelle profondità della sua anima in cui si trova, per volontà divina, la Luce della presenza divina. Al centro dell'Uomo si trova l'insostenibile luce interiore intellettiva che è la Luce di Cristo, ovvero la sua presenza occulta che, unita a quella di Sofia, spingono l'uomo nel compiere la sua trasmutazione. Sostenere l'immergersi in questa luce è il primo desiderio di chi l'ha sperimentata. La coscienza dell'uomo è dunque molto più complessa e più profonda di quanto possa apparire ad una prima analisi. In essa si trovano stati di coscienza a noi ignoti e che hanno reso gli uomini capaci di compiere atti ritenuti impossibili. È rinomato San Simeone il Vecchio che ha meditato giorno e notte senza dormire per trentasette anni, su una colonna alta diciotto metri, per non perdere lo stato interiore che aveva trovato. Egli permetteva ai pellegrini di raggiungerlo tramite una scala durante il pomeriggio, ma arrivato al tramonto del sole si poneva in preghiera in piedi verso Oriente vegliando in attesa del ritorno del Cristo. Negli anni, centinaia di mistici cristiani hanno seguito il suo esempio, rimanendo in piedi su colonne alte decine di metri per anni, riposandosi poche ore al giorno mettendosi a sedere su uno sgabello e dando vita al movimento chiamato degli «stiliti» cui appartennero S. Daniele, S. Luca e S. Elpidio. San Serafino di Sarov visse in piedi su una roccia per tre anni in Russia. San Pietro d'Alcantara stette una vita senza dormire più di un'ora per notte per paura che una volta addormentato avrebbe perso questo stato interiore. Nella tradizione orientale il re buddhista Bodhidarma...