Alberto Magno e l'Astrologia Medievale: Speculum Astronomiae e Libero Arbitrio
Si sviluppa un libro quale lo Speculum Astronomiae, uno scritto del 1270 generalmente attribuito ad Alberto Magno e che distingue i libri, le pratiche e le immagini astrologiche lecite da quelle illecite, per difendere e ripulire l'Astrologia virtuosa da numerosi scritti necromantici di dubbia provenienza che al momento proliferavano in Europa. Alberto Magno fu uno tra i più grandi filosofi e teologi del tempo. Il maestro di San Tommaso d'Aquino, avendo risolto l'apparente antinomia fra teologia e scienza, fu uno dei primi propugnatori del sistema sperimentale; pertanto Alberto Magno è tutt'ora considerato dalla Chiesa Cattolica il santo patrono degli scienziati.
In relazione agli influssi siderali, Alberto Magno, nei suoi scritti sui minerali e sulle gemme, si approccia all'Astrologia per descrivere il modo in cui questi acquisiscono le loro virtù occulte. In questo senso Alberto Magno potrebbe essere considerato un precursore di quella che verrà poi indicata come la dottrina delle segnature di Paracelso, proponendo lui per primo un'analogia formale fra fiori e piante rette da un determinato pianeta o segno zodiacale e i relativi tratti caratteristici.
Tuttavia, l'aspetto che più di ogni altro ci interessa in questo contesto è la posizione di Alberto Magno in relazione al tema del libero arbitrio. La soluzione proposta da Alberto Magno infatti, risulterà cruciale per la speculazione successiva. Predestinazione astrologica e Libero Arbitrio vengono conciliate da Alberto Magno identificando nell'uomo due realtà distinte e gerarchicamente disposte: la componente naturale dell'uomo, subordinata agli astri e passibile dei loro influssi, e l'aspetto volitivo dell'uomo, gerarchicamente superiore agli astri e capace di operare libere scelte.
Negli uomini esiste una duplice molla di azione, ovvero la natura e la volontà; la natura è per sua parte regolata dalle stelle, mentre la volontà è libera; tuttavia a meno che non resista, viene trascinata dalla natura e diventa meccanica.
L'uomo dunque è manovrato dalle forze celesti e naturali fintantoché non afferma la propria volontà, resistendo alle inclinazioni naturali, resistendo e realizzando dunque la propria potenziale libertà. In mancanza di questa affermazione, la vita individuale diventa meccanica, semplicemente trascinata dagli eventi.
Pur dunque ritenendo valida l'aspetto divinatorio dell'astrologia, Alberto Magno dichiara gli astrologi e gli auguri in errore per il loro fatalismo sovente dettato dall'ignoranza e dall'irriflessività:
Gli astronomi e gli auguri, e i maghi e gli interpreti dei sogni, sono quasi tutti in errore essendo generalmente poco educati pensano che ciò che è puramente contingente in realtà sia necessario e che se prevedono un qualche evento quello avverrà; e quando ciò non accade queste scienze appaiono ridotte agli occhi degli uomini non versati nella materia, sebbene l'errore non sia nelle scienze ma nel loro abuso. Per questo motivo Tolomeo dice che alcun giudizio dovrebbe essere emesso se non in termini generali e con la precauzione che le stelle agiscono in modo soggetto ad altre forze e accidenti e che la loro significazione incontra numerosi impedimenti. Altrimenti il praticare le scienze che trattano del futuro sarebbe idolatria se uno non potesse evitare ciò che è previsto.
I Poeti Astrologi
Alla posizione di Alberto Magno sulla centralità dell'uomo e il libero arbitrio si rifaranno i grandi poeti astrologi del primo Rinascimento come Dante e Cecco d'Ascoli. Dante addirittura metterà Alberto Magno nel quinto cerchio del Paradiso, nel cerchio del Sole e degli Spiriti Sapienti.
Abbiamo deciso di riportare i due poeti come esempio della nuova visione dell'astrologia nel periodo pre-Rinascimentale perché entrambi incarnano perfettamente questa nuova idea dell'Astrologia, lontana da ogni fatalismo e aspetto divinatorio e sintetizzano questa loro visione dell'Astrologia in due scritti immortali che li hanno consacrati tra i più grandi poeti italiani: Dante Alighieri con la Divina Commedia e Cecco d'Ascoli con l'Acerba.
I due scritti sono stati spesso considerati antitetici e in contrapposizione, sebbene la critica moderna ora abbia una visione più obiettiva sulla faccenda avendo messo in discussione la paternità delle terzine più dure che comparivano proprio sull'Acerba. Le due opere suggeriscono una contrapposizione perché incarnano perfettamente due generi che da una parte sono antitetici, ma dall'altra sono complementari. La prima, la Divina Commedia, è un'opera profondamente mistica e visionaria, la seconda, l'Acerba, è un'opera così lucida e scientifica da sembrare un trattato di saggistica.
Tale differenza la rileva lo stesso Cecco d'Ascoli nell'Acerba, nelle famose terzine nelle quali canzona Dante per la mancata chiarezza e lucidità scientifica, per aver ammantato la sua dottrina "sotto il velame de li versi strani" a differenza di lui, Cecco d'Ascoli, che invece dichiara tutto alla luce del Sole:
Qui non si canta al modo delle rane,
qui non si canta al modo del poeta