Il Martirio e l'Eredità di Cecco d'Ascoli - Astrologo e Mistico Medievale
fu condannato per le sue teorie astrologiche e per tale motivo fu condannato al rogo con i suoi libri. Tuttavia, una volta morto Cecco d'Ascoli i suoi libri furono fra le opere più copiate e diffusi fino alla controriforma, come attestano il gran numero di codici manoscritti pervenutici relativamente all'Acerba. Dal punto di vista puramente astrologico, infine, le posizioni di Cecco d'Ascoli non solo non erano estremiste, ma persino più moderate rispetto a quelle di autori poi canonizzati dalla Chiesa come Alberto Magno. Lo stesso Thorndike nei primi anni del XX secolo pone la questione sui reali motivi che hanno portato al processo e all'uccisione di Cecco d'Ascoli. Una possibile soluzione all'enigma viene proposta da Palamidessi, riprendendo una tesi parzialmente introdotta dal Valli e dal Ricolfi, nel I Convegno di Studi su Cecco d'Ascoli. Qui Palamidessi esprime l'opinione che dopo aver chiarito come la sua condanna non vada attribuita al suo magistero ed alla sua pratica di astrologo, si debba ritenere questo "iniziato e maestro" portatore di "una nuova visione cristiana della vita" come travolto dal movimento che portò alla distruzione dei Templari. Nei Templari infatti confluivano i Fedeli d'Amore ai quali Cecco sarebbe appartenuto. Il poeta quindi andrebbe guardato "con un'altra lente in quanto anticipatore di idee nuove che hanno indicato la via per dominare la materia e la forza dell'Universo per creare l'Uomo nuovo". A tale messaggio di Cecco d'Ascoli dunque dovrebbe essere attribuito il senso del processo e il suo martirio. E questo in effetti sembra essere il senso comunicato da Cecco d'Ascoli al Petrarca in uno dei suoi ultimi sonetti quando probabilmente vedeva già delinearsi le sorti del suo imminente futuro. Al Petrarca che lo appella come "il grande Ascholan che 'l mondo allumi" e lo interroga sul prossimo futuro, Cecco d'Ascoli fa capire che sa quale è il suo prossimo futuro e che lo accetta per amore della Sapienza: Come fenice nella morte canto. Ahimè! sì m'ha condotto il negro manto! Dolce è la morte, po' ch'io moro amando la bella vista coverta dal velo, che per mia pena la produsse il cielo. Infatti il 16 Settembre del 1327 Cecco d'Ascoli fu arso vivo dal tribunale dell'Inquisizione davanti alla Chiesa di Santa Croce a Firenze. Fu condotto ad abiurare pubblicamente nella Chiesa di S. Croce apparata a lutto sopra un eminente palco a bella posta eretto alla presenza di un popolo innumerabile. Ivi [...] fu letto ad alta voce il ristretto del processo, e ad ogni articolo domandato essendo al reo se fosse vero quanto contro di lui veniva esposto, egli rispondea che lo aveva detto, lo aveva insegnato, e lo credeva. Terminata la funzione fu sentenziato Cecco ad esser bruciato vivo con tutti i libri da esso composti.