Nomi Divini Ebraici nella Meditazione Mistica
potere e pace mentale. Equivale all'AMEN = « sicurezza e verità », ma vi sono delle varianti. Isaia chiama due volte Iddio con Adonai Amen (65:16) nel senso di « Dio Verace ». JAH: Il diagramma dell'Ofan aur mizechà, come del resto tutti gli altri undici centri o « ruote di fuoco » è un occhio che porta a sinistra la Jod e a destra la He, che riunite insieme costituiscono il Nome divino che si pronunzia Jah. Qui la J all'italiana (si chiama i lunga) era usata per indicare due i con una sola lettera (es. gli studj, i principj al posto di principii). La a è leggermente aspirata. Vediamo ora il significato profondo di questo Nome. 44. Questo Nome compare assai di rado nelle Scritture. Figura nel Cantico di Mosè (Esodo, XV, 2): Il Signore è la mia forza e il mio cantico. Il Nome di Dio è formato dalla parte comune ai due Nomi. Si ritiene come l'abbreviazione del Tetragrammaton. Significa « L'Essere degli Esseri in Lui-stesso. Il suo simbolismo è legato al numero due. Nome divino Jah che emana dalla Sefirah Chochmah o la Saggezza Divina. Esempio di Meditazione su nome divino e su lettere dell'Alfabeto ebraico Descrizione delle fasi di Meditazione. DISTINZIONE IMPOSTAZIONE ORIENTALE E OCCIDENTALE Ora c'è un discorso da fare: tutte queste rappresentazioni e queste pratiche sono però strutturate e concepite per avere un'azione su un individuo indiano di duemila anni fa perché è quando sono stati creati. Tutti i simboli che vengono usati sono concepiti per avere un'azione sulla coscienza di quell'individuo con quella mentalità, risuonano e affondano le loro radici nell'inconscio personale e collettivo di quel popolo. L'azione di questi stessi simboli nella meditazione su un occidentale non è detto che abbia quegli effetti anzi forse pure opposti a meno che non sia talmente compenetrato di quel retroterra culturale da avere una costituzione interiore specialmente affine ed adatta a questo tipo di figure. Facciamo un esempio prendendo la Vajrayogini: la Vajrayogini in questione vive circondata dalle fiamme della saggezza eterna è tutta rossa per il fuoco interiore generato dalla pratica del tummo come potete vedere ha una collana di 50 teste umane e un diadema formato di 5 teschi che rappresentano la sua indipendenza dalle forme impermanenti e l'illusione ha in mano un coltello ricurvo grondante sangue che rappresenta la sua capacità di recidere le forme nell'altra mano ha la colatta cranica di un teschio nella quale beve del sangue che è il simbolo della sua eterna benedizione. Tutti questi nella coscienza di un tibetano di mille o duemila anni fa, ma anche di oggi se vogliamo, producevano degli effetti distinti da quelli che possono produrre in un occidentale moderno. Per questo per la meditazione, l'interiorizzazione e il risveglio dei centri di forza Tommaso Palamidessi consiglia di appoggiarsi alla tradizione ebraica che ci è più affine e il cui simbolismo (biblico) è quello su cui si basa la nostra tradizione culturale e per cui è adatto ad essere interiorizzato, visualizzato in questi stati speciali di coscienza di modo da poter agire direttamente sulla nostra coscienza senza timore di risvegliare delle forme o ombre della coscienza.